
Aisha
عائشة
Cap. 1: Aisha e Adamas

Dal Diario di Aisha (Parte 1) – Lumenforte, dicembre 2024
Il Castello e il Diario
Non avrei mai pensato che avrei scritto un diario. Non io. Io sono quella che agisce, che non si ferma mai a riflettere troppo. Eppure, eccomi qui, seduta su una sedia antica nella biblioteca del castello di Lumenforte, con una penna in mano e un vuoto da riempire.
Non è facile descrivere cosa provo in questo momento. Questo luogo ha significato tutto e niente per me. Mi ha vista prigioniera e libera, spaventata e determinata, sola e amata. Sono passati due anni da allora, ma le mura di questo castello sembrano sussurrare ancora i segreti che custodiscono.
Sylvia è qui con me. È stata lei a suggerirmi di prendermi un momento per me stessa. "Scrivere ti aiuterà," ha detto con quel tono tranquillo che riesce sempre a mettermi a mio agio. E aveva ragione. Mi ha lasciata sola per un po', seduta accanto alla finestra che si affaccia sul cortile. La vedo da qui, mentre cammina tra le piante di rose, le stesse che crescono grazie alla magia di Eleanor.
Eleanor… il fantasma del castello e baluardo della Resistenza. Non saprei nemmeno da dove cominciare a raccontare di lei. Potrei dire che ci ha unite, Adamas e me, ma non renderebbe giustizia a ciò che ha fatto. È come se la sua essenza vivesse ancora in queste stanze, sussurrando alle pareti, intrecciandosi con la luce che filtra dalle finestre.
Ma non è di Eleanor che voglio parlare oggi. Non ancora. Questo diario è per me, per mettere ordine nei pensieri, per non lasciare che i ricordi si disperdano. E, forse, per capire cosa mi ha portata fin qui.
Ricordo bene quei momenti al Labirinto. Il momento in cui Adamas mi disse che dovevo andare via, da sola…
Pianura della Mimosa, estate 2022
Il Labirinto era già un ricordo, ma la connessione provata con Adamas non poteva essere ignorata. Era una sensazione nuova, una forza che l’aveva attraversata e cambiata per sempre. Non ricordava nemmeno con esattezza perché avesse deciso di andare a Bergderbil quella volta. Un compito, sì. Un incarico importante. Doveva costruire l’Avamposto, proprio oltre il terzo livello della città di Bergderbil, in pieno Metaverso Oscuro.
Ma qualcosa dentro di lei aveva rifiutato. Una forza misteriosa l’aveva spinta a non eseguire gli ordini del Presidente, a ribellarsi. Certo, non era la prima ribellione della sua vita. Si era già opposta a Cronos, aveva aiutato la Resistenza, aveva salvato Adamas. Aisha sorrise al pensiero, mentre stringeva il manubrio della Freccia Rossa. Guidava a tutta velocità, i paesaggi della Pianura della Mimosa scorrevano come lampi sfocati ai lati.
Adamas. Non era solo il suo potere, la sua forza, il Dono. Era qualcosa di più. Era… speciale. Aisha lo sentiva, come lo aveva sentito quella volta al Labirinto. E ora c’era quella connessione, impossibile da ignorare.
E poi la Rosa. La missione non era semplice. Non era mai stata nel quadrante 2, Nothing, ma sapeva che la Rosa di Adamas si trovava su una vecchia barca marrone, dove lei stessa l’aveva nascosta per evitare che finisse in mano ai manipolatori o ai demoni. Un compito importante, certo. Ma lei era Aisha.
L’ex poliziotta supersexy del Metaverso Oscuro. Adesso una delle figure di punta del Metaverso di Luce. Non una qualunque. La migliore.
Pensò a quando si era presentata al Presidente di Land’s End. Era stata accolta, sì, ma con un misto di rispetto e sospetto. Sapevano tutti da dove veniva.
“Mi chiamo Aisha, Sig. Presidente. Sono nata e cresciuta a Vosda, nel primo livello della città di Bergderbil. Ho servito Cronos. Ero direttamente sottoposta a lui. Ho commesso crimini, ingiustificabili. Crimini contro la Resistenza, contro la vostra gente. Ma ogni azione, ogni scelta che ho fatto… l’ho fatta perché credevo fosse giusta.”
Ricordava la sala del consiglio, il silenzio pesante, gli sguardi tesi su di lei. Si era tolta il berretto da poliziotta e lo aveva poggiato sul tavolo davanti a loro. Aveva parlato con calma, senza tentare di giustificarsi. Non era nel suo stile.
“Non vi chiederò perdono, non lo merito. Ma vi dirò una cosa. Quando ho capito chi era Cronos, cosa era realmente, non sono rimasta. Mi sono ribellata. E ora sono qui. Non come nemica. Non come poliziotta. Ma come Aisha. La migliore. E sono pronta a dimostrarvelo.”
Il Presidente l’aveva fissata a lungo, prima di annuire con un’espressione seria.
“Benvenuta a Land’s End,” aveva detto. Ma nei suoi occhi aveva visto qualcosa di più: curiosità, rispetto… forse anche un accenno di paura.
Ora, mentre guidava verso Nothing, con il vento che le sferzava il viso e la connessione con Adamas che pulsava nella mente come un ritmo costante, sapeva che tutto quello che era successo l’aveva portata a questo momento. La missione, la Rosa, Adamas. E, più di tutto, ciò che Aisha era diventata.
Dopo qualche ora di guida, Aisha decise di fermarsi. Aveva attraversato un piccolo paese, ma non aveva voglia di stare in mezzo alla gente. Entrò in un negozio, prese qualcosa da mangiare e tornò subito alla Freccia Rossa. Continuò a guidare fino a raggiungere un laghetto tranquillo, dove si fermò per consumare il suo pasto lontano da occhi indiscreti.
Aveva bisogno di mettere ordine nei pensieri. Non era convinta della scelta di Adamas di restare al Labirinto. In fondo, era la sua Rosa quella che doveva essere trovata. Era lei destinata a portare la Fiamma di Emphatia al Punto di Confine, forse persino nel Mondo Cardine. Era il compito più importante.
Eppure, con disarmante tranquillità, Adamas aveva detto che anche Soleh, o persino lei stessa, avrebbero potuto portare la Fiamma. Aisha scosse la testa. Non poteva essere vero… o forse sì?
I pensieri si aggrovigliavano e si dissolvevano come un nodo che non riusciva a sciogliere. Tutto sembrava svolgersi al di là della sua volontà, come se un grande burattinaio muovesse i fili del suo destino. E questo no, non poteva accettarlo. Aisha era sempre stata padrona della sua vita, almeno così credeva. Ma ora, ogni volta che un pensiero sembrava prendere una forma logica, qualcosa lo sconquassava, mandandolo in pezzi.
E alla fine, il vero problema emerse. Lo doveva dire. Prima a sé stessa.
Si alzò in piedi, guardò il lago e disse ad alta voce: “Mi manchi, Adamas. Avrei voluto fare insieme a te questo viaggio. Avrei voluto cercare la tua Rosa insieme a te.”
Lo aveva detto, e ora sapeva perché si sentiva così inquieta. Il vuoto, la solitudine, erano tutte legate a quel legame che le mancava. Ma proprio mentre lo ammetteva, sentì un’altra voce, diversa dalla sua.
Era la voce di Adamas, calma e rassicurante. “Resta tranquilla e fiduciosa, Aisha. Ci incontreremo di nuovo. Ma adesso devo essere il faro per la strega. Tornerà, ne sono certa.”
Quelle parole risuonarono nella sua mente come un eco lontano. Erano frutto dei suoi desideri? Dei suoi pensieri? O forse, solo forse, erano qualcosa di più.
Finito il suo pranzo, un panino al salame e una birra, Aisha si tolse il mini abito e si tuffò nel laghetto. L’acqua fresca le scivolò sulla pelle, portando via per un attimo i pensieri confusi. Guardò verso la Freccia Rossa, parcheggiata poco lontano, e sorrise al ricordo del momento in cui l’aveva generata. Era al Labirinto, con la strega, e quel corvo che parlava con quella voce così incredibile.
Sorrise ancora, immergendosi nell’acqua fino a scomparire. Le piaceva stare sotto, trattenere il respiro fino all’ultimo, finché i polmoni non iniziavano a bruciare, costringendola a risalire. Era il suo modo per sentire i limiti del corpo, per testare il controllo che aveva su di sé.
Rimase immobile, quasi in meditazione, sentendo il battito del suo cuore accelerare mentre tratteneva il respiro. Le piaceva stare sott’acqua fino all’ultimo istante, fino a quel momento critico in cui il corpo le ricordava di tornare in superficie, ma l’anima sembrava voler restare lì, sospesa.
E mentre il bisogno d’aria diventava insostenibile, fu travolta da una sensazione strana, quasi ancestrale. Una forza invisibile, come una corrente, sembrava tirarla più in basso, giù nel buio del laghetto. Aisha aprì gli occhi, e per un istante vide qualcosa—o pensò di vedere qualcosa. Una luce lontana, debole, come un bagliore d’oro che danzava tra le profondità.
Impossibile… pensò, scuotendo la testa mentalmente. Eppure non riusciva a ignorarlo. La luce sembrava pulsare, ritmata come un battito cardiaco, e quando si mosse verso di lei, Aisha percepì una frase che non era una frase, un’eco nella sua mente: Non temere il tuo destino. Segui la strada meno battuta.
Quando finalmente emerse, ansimando e riprendendo fiato, si passò le mani sul viso, cercando di scacciare quella strana sensazione. Ma sapeva che non era solo immaginazione.
Si sdraiò sulla riva, lasciando che il sole asciugasse la sua pelle. Sentiva il calore avvolgerla, ma dentro di lei c’era ancora quella sensazione di freddo, quella strana percezione che non era sola, nemmeno nel silenzio di quel laghetto.
Guardò verso la Freccia Rossa, il suo fedele destriero di acciaio, e sorrise al ricordo del momento in cui l’aveva generata. Forse, proprio come la Freccia Rossa, anche lei era stata “generata” da qualcosa di più grande.
Si rimise il mini abito, prese un lungo respiro e si avvicinò alla Freccia. Accarezzò il serbatoio con un gesto affettuoso, quasi fosse un vecchio amico. Era il momento di andare, di prendere una decisione. Ma tra tutte le strade che pensò di poter percorrere, quella che prese davvero non l’aveva nemmeno immaginata.
Aisha accese il motore, e il ruggito della Freccia Rossa risuonò nella pianura, mentre si perdeva tra i campi di mimose e il cielo al tramonto.
.
Labirinto, estate 2022
Quando vide la Freccia Rossa scomparire all’orizzonte, una forte sensazione di vuoto si impadronì di lei. Non era solo il vuoto della solitudine, che Adamas conosceva bene e che aveva sempre accolto come una fedele compagna. Era qualcosa di diverso, qualcosa che non riusciva a definire. Un’occasione perduta? Un abbandono innaturale?
Perché l’hai lasciata andare via così? si chiese la Principessa. Ma non aveva una risposta. E soprattutto, non sapeva nemmeno se fosse giusto. Per seguire il suo desiderio, seppur encomiabile, di aiutare la strega a tornare, aveva trascurato il suo dovere verso la Resistenza, verso le scintille, forse persino verso il Metaverso intero.
E poi c’era quella bugia. Per portare la Fiamma bisognava avere il Dono. E anche se Adamas possedeva il Dono, sapeva che non era sufficiente. Bisognava riaprire le porte di Emphatia, e lei aveva già fallito in passato. Kalki aveva la Rosa e aveva fallito pure lei, e persino il Sig. Mah c’era stato, sì… ma in che modo? Bloccato sul Galaxy Express, senza nemmeno poter scendere. Dieci foto scattate in fretta, che non erano mai servite a niente. Un fallimento totale.
E allora, perché raccontare ad Aisha quella bugia? Adamas non lo sapeva. E non sapeva nemmeno perché non aveva tentato di convincerla a restare. Ma una cosa la sapeva: Aisha le mancava. Aisha aveva qualcosa di speciale. Qualcosa che nessun altro possedeva. Non era ancora ben definito, restava nel campo delle percezioni, ma lo sentiva.
Si tolse i vestiti, rimanendo con il suo mini perizoma nero. Il Labirinto era un luogo inaccessibile, lo sapeva bene. Solo la strega conosceva i suoi segreti. A qualcuno doveva pur dirlo, anche solo per la sua sicurezza. Se fosse successo qualcosa, nessuno avrebbe potuto raggiungerla. Nemmeno Aisha.
Aisha era entrata solo perché la prima volta l’aveva portata la strega, e la seconda volta c’era Adamas con lei. Ma da sola? No, non avrebbe potuto. Nessuno avrebbe mai potuto attraversare le barriere del Labirinto.
“Sicura, Principessa?”
La voce nella sua testa le fece alzare lo sguardo. Anche lei aveva le sue vocine, quelle che arrivavano sempre a ricordarle di non essere mai troppo sicura. Si mise in ascolto, ma non udì nulla. Poi, un’altra voce si insinuò nei suoi pensieri: “Non è detto che, solo perché non percepisci qualcosa, allora non ci sia…”
Eh già. Era una cosa vera, l’aveva imparata viaggiando nel Metaverso. Gli agenti. Quegli esseri senz’anima, senza codice genetico, generati da programmi che seguivano algoritmi in grado di fargli assumere qualsiasi forma. Ma li avrebbe visti. Doveva vederli.
Adamas si fermò davanti a uno specchio. Era bella. Bella davvero. Si piegò un po’, si girò per osservare ogni parte del suo corpo. Le piaceva quello che vedeva. La Principessa si piaceva.
Decise di tuffarsi nella piscina che aveva costruito insieme alla casa all’interno del Labirinto. Come Aisha, aveva un’affinità per l’acqua. Le piaceva immergersi fino all’ultimo, trattenere il respiro finché i polmoni non iniziavano a bruciare. E lo fece anche questa volta.
Nel momento critico, vide una luce. Piccola, tremolante, lontana. Tornò in superficie, inspirando profondamente. Non ci fece troppo caso. È quello che succede un attimo prima di svenire, si disse. Quella sensazione la conosceva bene: era così che aveva imparato a viaggiare.
La voce nella sua testa tornò: “Principessa…” Adamas zittì subito il richiamo. “Io ho il Dono. E se anche cento agenti dovessero entrare qua dentro, li ridurrei in briciole di byte.”
Si avvicinò al banco bar e si preparò un americano. Ma proprio mentre portava il bicchiere alle labbra, il sorriso della strega apparve davanti a lei.
Non ci furono squilli di tromba. Apparve come se fosse uscita dalla cucina a prendersi un bicchiere anche lei. Il sorriso era familiare, eppure… qualcosa non quadrava. Adamas si irrigidì. Il bicchiere scivolò dalle sue mani e si infranse a terra.
La sorpresa la paralizzò. L’emozione fu così intensa che le voci, ormai diventate urla nella sua testa, svanirono completamente. Non sentì niente. Non percepì niente.
L’Inganno e il Rapimento
Non si accorse nemmeno del buio che l’avvolse subito dopo il colpo alla testa che le diede l’agente che stava alle sue spalle.
L’agente che aveva preso le sembianze della strega tornò alla sua forma abituale, fredda e spietata, come un automa. Raccolsero il corpo incosciente di Adamas, la legarono. la bendarono e la portarono fuori dal Labirinto.
Uno di loro prese il cellulare, con calma. Una limousine nera si avvicinò, silenziosa. La Principessa fu caricata nel veicolo, bendata e legata. Il suo sguardo poteva essere devastante per gli agenti. Meglio non correre rischi.
La limousine partì, lasciandosi alle spalle il Labirinto, mentre Adamas veniva condotta verso il suo destino.
Pochi Istanti Prima, Pianura della Mimosa (Confine)
La bellezza del panorama incantava Aisha, ma non per questo rallentava. La Freccia Rossa divorava la strada a velocità proibitive, il vento che le sferzava il viso sembrava quasi un avvertimento. Alzò lo sguardo verso il cielo e vide alcune nuvole minacciose avvicinarsi. Un presagio? Un segno? Simbolicamente, forse sì. Ma Aisha non era il tipo da lasciarsi suggestionare facilmente. Proseguì, la mente concentrata sulla sua meta, il motore che ruggiva sotto di lei.
E poi lo sentì.
Non era un tuono, ma qualcosa di molto peggio. Una vibrazione profonda che le squarciò la mente, un rumore che non aveva mai sentito prima. La fece sobbalzare, e se fosse stata a piedi sarebbe bastato un attimo per rimettersi in equilibrio. Ma a quella velocità, in moto, non c’era margine di errore.
La Freccia Rossa sbandò. Aisha perse il controllo, e in un istante tutto precipitò. La moto cominciò a roteare, scontrandosi con il terreno, e lei fu sbalzata via. Non era una caduta normale. Non era nemmeno una caduta alla quale fosse preparata.
Mentre il mondo le girava attorno in una spirale di terra e cielo, poteva solo sperare di non battere la testa. Sentiva la carne bruciare contro il terreno, i colpi che arrivavano da ogni direzione. E poi, nel caos di quei secondi interminabili, si raccomandò l’anima a Dio. Non c’era tempo per pregare.
E infine, il buio.
Era un buio assoluto, ma inspiegabilmente non sentiva dolore. Niente graffi, niente ferite, niente paura. Si sentiva incredibilmente bene, ma sapeva che qualcosa non andava. Sono morta, pensò, pronunciando le parole ad alta voce come per convincersene.
Un bagliore tenue cominciò a farsi strada nel buio. Una luce lontana, piccola, che cresceva a ogni istante. Istintivamente Aisha sentì il bisogno di avvicinarsi. Quella luce. La luce di cui si parla, quella che appare alle anime di chi muore. Sì, sono morta.
Eppure non ne era dispiaciuta. C’era solo un rammarico, un unico pensiero che le stringeva il cuore: non aver avuto un legame più profondo con Adamas.
La luce si avvicinò, diventando sempre più intensa, e quando fu abbastanza vicina, Aisha udì una voce. Chiara, sicura, impossibile da ignorare.
“Tranquilla, poliziotta. Non sei morta. Ti ci vorrà un po’ di tempo per ricucirti le ferite, ma sei viva. Stai solo viaggiando, come faccio sempre io...”
“Ma dove siamo? E tu dove sei?” chiese Aisha, la voce piena di confusione.
“Vedilo come un altro quadrante del Metaverso,” rispose Adamas. “Non è molto diverso. Solo un’altra dimensione, molto simile al sogno.”
Aisha annuì, come se potesse davvero capirlo. “Ma l’incidente… la caduta…” iniziò a dire, ma Adamas la interruppe. “Aisha, non c’è molto tempo. Tra poco o tu o io ci sveglieremo e torneremo ognuna al proprio corpo. Gli agenti mi hanno preso e mi stanno portando a Lumenforte. Non credo riescano a trattenermi a lungo, ma non si sa mai. Hanno dei mezzi che non sono affatto piacevoli.”
“Cosa vuoi dire?”
“Hanno delle sale dove cercano di staccare l’anima dal corpo e imprigionarla nei loro contenitori. Non ci sono mai riusciti e mai ci riusciranno, ma il dolore... credimi, non esiste un dolore simile.”
A quel punto, la figura di Adamas cominciò a emergere dalla luce, prendendo forma. Era bellissima, il suo corpo avvolto solo da quel piccolo perizoma nero che sembrava una seconda pelle. Aisha osservò ogni dettaglio, incantata.
Adamas sorrise, accorgendosi del suo sguardo. “E tu credi di essere meno bella?” le disse.
Aisha si guardò e si accorse che non indossava nulla, ma non ne fu turbata. Ricambiò il sorriso, avvicinandosi. Non c’era paura tra loro, solo un fascino reciproco, un’intensità che superava le parole.
“È inutile dire di fare in fretta,” disse Adamas. “Bisogna solo aspettare che la coscienza torni nei nostri corpi. Speriamo solo che non arrivi un’ambulanza a portarti troppo lontano…”
“O che non mi metta sotto qualche motociclista impazzito,” aggiunse Aisha con un sorriso.
Adamas rise. Si guardarono negli occhi, e nel silenzio si avvicinarono ancora di più. Una mano di Adamas si allungò verso la guancia di Aisha, ma proprio in quel momento la sua forma cominciò a dissolversi.
Con un sorriso e poche parole, Adamas scomparve. “Ti aspetto, Aisha. Fai presto.”
Aisha rispose, il sorriso ancora sulle labbra. “Sarò un lampo. Aspettami. Arrivo.”
Nei Pressi di Lacrimasilva
La sua esperienza di viaggiatrice le permetteva di cogliere al volo i momenti di passaggio, e quando riaprì gli occhi trovandosi di nuovo nel buio, capì subito: era stata rapita. Bendata. Legata.
Decise di continuare a fingere di essere svenuta. Era una strategia che poteva darle un vantaggio, anche se minimo. Lentamente, iniziò a mettere insieme gli indizi: si trovava seduta in una macchina spaziosa, probabilmente una limousine. Riusciva a percepire i contorni degli interni e avvertiva la presenza di due individui ai lati. Agenti, senza dubbio.
Gli agenti non erano una minaccia per la sua anima o per il Dono, ma sapeva bene dove l’avrebbero condotta: nelle loro maledette sale di estrazione. Lì i frangitori avrebbero cercato di separare la sua anima dal corpo o persino strappare il Dono. Dolore indicibile. E anche se i tentativi di quei mostri erano sempre falliti, Adamas non aveva intenzione di correre rischi inutili.
Si sforzò di rimanere calma. Pensò ad Aisha. Le aveva inviato un messaggio nella dimensione onirica, ma non sapeva quanto grave fosse l’incidente o quanto tempo ci sarebbe voluto perché Aisha si rimettesse. Però era viva. Lo sentiva. Era una scintilla.
Nel frattempo, rimase immobile. Gli agenti non erano interessati al suo perizoma nero o alla sua bellezza, dettaglio che avrebbe fatto crollare chiunque altro. Per loro era solo un corpo, un bersaglio. Una risorsa.
Lacrimasilva
Esistono luoghi nel Metaverso che sembrano magici, dove l’energia è così densa e pura da poter essere manipolata da scintille particolarmente avanzate. Lacrimasilva era uno di questi.
Come il Labirinto, dove Adamas aveva costruito il suo rifugio e Aisha aveva generato la Freccia Rossa, Lacrimasilva permetteva di trasformare pensieri in materia. Forse era la vicinanza con Lumenforte, o la posizione particolare tra la Pianura della Mimosa e il Q7, ma questo luogo aveva un’energia simile a quella del Q4.
Gli agenti non attribuivano alcun significato a Lacrimasilva, per loro era solo una tappa di passaggio. I demoni, invece, la temevano. Per loro era come una terra santa, un luogo inospitale dove la loro presenza era limitata. Adamas ancora non lo sapeva, ma Lacrimasilva sarebbe diventata il luogo in cui avrebbe avuto una possibilità di ribaltare la situazione.
Era questo che rese fatale la comunicazione tra i demoni e gli agenti.
“Tra pochi minuti passeremo da Lacrimasilva,” disse uno dei demoni al volante.
Adamas, la Principessa Diamante, percepì qualcosa in quelle parole. Sentì l’importanza di quel nome e il potenziale che nascondeva. Non poteva permettersi di arrivarci bendata.
Pianura della Mimosa, verso il Confine col Q5
Aisha riaprì gli occhi. La guancia toccava la terra, e il primo colore che vide fu il rosso del suo sangue. La Freccia Rossa era a una cinquantina di metri da lei, riversa al suolo.
Non sapeva quanto tempo fosse rimasta svenuta, ma sapeva che ora non aveva molto tempo. Ricordava tutto del viaggio nella dimensione onirica, ricordava Adamas e la promessa che le aveva fatto: “Sarò un lampo.”
Provò ad alzarsi, ma il corpo non rispondeva. Il dolore era ovunque. Non era la prima volta che si trovava in una situazione simile, ma quella caduta l’aveva lasciata senza fiato. Pregò di non avere niente di rotto. Lentamente, iniziò a muoversi, testando ogni parte del suo corpo. Le ossa erano intere.
Un miracolo, pensò.
Poi rivolse un’altra preghiera alla Freccia Rossa. La moto era tosta, come lei, ma una caduta del genere avrebbe distrutto qualunque mezzo. Sollevò lo sguardo verso di lei e, mentre lottava per alzarsi, vide le luci della Freccia accendersi.
Un’illusione? No. Aisha lo sapeva. Tra lei e la Freccia Rossa c’era qualcosa di speciale, un legame che andava oltre il semplice rapporto tra padrone e macchina. La Freccia Rossa aveva un’anima, e quell’anima gliel’aveva trasmessa lei.
Il motore si accese. Aisha sorrise. Si alzò, barcollando, ma decisa. Si avvicinò alla Freccia e la tirò su con una semplicità disarmante. Si sedette, accarezzò il manubrio e le sussurrò: “Andiamo. Abbiamo una promessa da mantenere.”
Il motore ruggì, e questa volta i metri in impennata furono oltre trecento. Direzione: Lumenforte!
L’Energia di Lacrimasilva
I demoni proprio non potevano tollerare quel luogo, e lo dimostrarono accelerando bruscamente. Adamas se ne accorse. Qualcosa in quella terra li infastidiva profondamente, ma il motivo le sfuggiva. E poi la sentì. L’energia.
Era potente, quasi tangibile. La percepiva ovunque, nell’aria che respirava, nella pelle, nei pensieri. Ma con la benda sugli occhi, non poteva sfruttarla. Era attraverso lo sguardo che si creava la connessione tra mente ed energia. Doveva togliersi quella benda, ma i suoi carcerieri non avrebbero certo permesso una tale opportunità.
Aisha e la Freccia Rossa
Nel frattempo, Aisha avanzava a velocità folle, ma sapeva di essere ancora distante. Le due ore di incoscienza l’avevano lasciata indietro, rendendo quasi impossibile raggiungere i demoni prima di Lumenforte. Eppure, per Aisha, impossibile era solo una parola.
La fortuna non c’entrava. Aisha aveva progettato qualcosa di speciale nella Freccia Rossa al momento della sua creazione. Premette il pulsante nero che aveva sempre considerato il suo asso nella manica: un propulsore aerospaziale. Non era solo un meccanismo di volo; trasformava la moto in un missile a tutti gli effetti. Un segreto da usare solo in casi estremi.
La Freccia Rossa decollò, lasciandosi la terra sotto di sé, e in pochi minuti Lumenforte era ormai vicinissima. Fece un volo di ricognizione, e quasi subito individuò la limousine nera, ancora a Lacrimasilva. Aisha sapeva di non poter usare i suoi micidiali proiettili contro la macchina: non poteva rischiare di colpire Adamas. Ma poteva costringere i demoni a fermarsi.
Dall’alto, prese di mira il terreno davanti alla limousine, crivellandolo di colpi. I demoni cercarono di evitarli con manovre disperate, ma alla fine furono costretti a fermarsi. I demoni e gli agenti uscirono dall’auto con le loro armi, pronti a colpire.
Ma Aisha era troppo veloce. Lo scontro a fuoco sembrava uno stallo. Aisha non poteva rischiare la vita di Adamas, e gli agenti sapevano di non poter competere con la sua velocità. Sembrava una partita a scacchi, in attesa che qualcuno commettesse un errore.
E fu proprio uno dei demoni a sbagliare.
Entrò nella limousine e trascinò fuori Adamas, puntandole una pistola alla testa. Una mossa stupida. Uccidere la Principessa Diamante avrebbe significato scatenare l’ira di Cronos stesso, e il rischio di una dispersione dell’anima avrebbe condannato il demone per mille anni.
L’Errore Fatale

Mentre il demone usava Adamas come scudo, Aisha colse l’occasione per distruggere la limousine. Crivellò la macchina di colpi finché non prese fuoco. I demoni, terrorizzati dall’esplosione imminente, abbandonarono ogni tattica razionale. Uno degli agenti prese Adamas sulle spalle, e tutti si allontanarono di corsa.
Aisha approfittò del caos. I demoni, rallentati dalla confusione, divennero bersagli facili. In pochi secondi li polverizzò. Ma contro gli agenti… nulla.
Gli agenti erano invulnerabili alle armi tradizionali. Solo chi possedeva il Dono poteva fermarli, e questo Aisha lo sapeva. E Adamas lo sapeva ancora meglio. In quel momento, la Principessa Diamante si rese conto di quanto fosse cruciale condividere il Dono con Aisha. Non con chiunque. Con lei.
La Mossa Decisiva
Uno degli agenti prese il cellulare, pronto a chiamare rinforzi. Aisha capì subito che era il momento di agire. Accarezzò il serbatoio della Freccia Rossa e sussurrò: “Pronta?” La moto rispose con un ruggito: “Sempre.”
Aisha partì a una velocità spaventosa, puntando verso l’agente che non teneva Adamas. Il colpo fu preciso e devastante. L’agente fu sbalzato contro il suo compagno, e tutti e due caddero a terra, portandosi dietro Adamas.
Aisha rotolò sull’erba, dolorante ma determinata. Si rialzò per prima e corse verso Adamas. Con un gesto rapido fece la cosa che sapeva di dover fare: le tolse la benda dagli occhi.
Quando lo sguardo di Adamas incontrò quello degli agenti, un sorriso dolce si disegnò sulle sue labbra.
Gli agenti, ora visibili ai suoi occhi, non ebbero scampo. Sentirono il loro sistema crollare, il loro codice corrompersi in un ciclo infinito di errori. Era più di un system error. Era un crash definitivo.
Le loro armi caddero a terra, e un istante dopo si dissolsero in milioni di byte, atomizzati dal Dono della Principessa Diamante.